Si è svolta lo scorso 25 ottobre lontano da noi, al Grace Exhibition Space di New York, ma noi ci auguriamo si possa ripetere presto in Italia, Dancing on nature: un silent disco per riflettere su un’ipotetica o reale estinzione del genere umano, come? Ballando.

Una performance collettiva, ma forse anche un titolo in grado di descrivere l’intero progetto artistico di Nicola Fornoni, body artist bresciano la cui ricerca, instancabile e resiliente, ci porta verso un’unica direzione: il superamento.   

Dato che il suono è uno dei principali interessi di Spazio Concept, partiamo proprio da qui, in Dancing on nature succede qualcosa di diverso rispetto alle altre tue performance…

NF: sì, in molte delle mie performance, documentate poi in video, il suono è un aspetto della post-produzione, un arricchimento dei suoni comuni e quotidiani degli ambienti, mentre in Dancing on Nature è un elemento basilare, perché le persone si trovano a danzare.

Insieme ad Alessandro Petrol Pedretti abbiamo registrato dei suoni di api nelle arnie, qui della Val Camonica, e del ghiaccio, altro elemento presente anche nella performance. Il tutto è stato organizzato musicalmente in un loop di circa un’ora che i visitatori potevano ascoltare in cuffia come in una silent disco.

Questa è una performance per me molto diversa dalle altre, che arriva dopo qualche anno di riflessione sulle azioni collettive; a un certo punto del mio produrre ho sentito il bisogno di un distacco, non volevo più essere io al centro dell’attenzione come unico performer (spesso visto come “santo”, unico protagonista che viene celebrato e si auto-celebra).

Mi interessava l’idea del potersi divertire collettivamente e quindi ballare, ma naturalmente con qualcosa dietro che distinguesse questa azione da un normale dj set e allora ho elaborato quest’idea del divertirsi sopra una ipotetica o reale estinzione, che è quello che facciamo tutti i giorni alla fine. Nello spazio erano posizionati tre blocchi di ghiaccio che si scioglievano, attraversati da fasci di luce, mentre le persone continuavano a ballare.

La mia preoccupazione principale era: come far partecipare il pubblico? All’inizio il pubblico è rimasto immobile, io ero all’ingresso e distribuivo le cuffie, ma poi molti si sono seduti. Per fortuna c’era un’amica, l’ho portata al centro e abbiamo cominciato a ballare, così lentamente (molto lentamente) i visitatori ci hanno seguito e hanno capito che erano liberi di ballare e interagire con lo spazio, così l’azione ha preso vita…alcuni si sono messi a toccare il ghiaccio, altri hanno provato a leccarlo, altri hanno iniziato a ballare tra loro, poi uno dei blocchi (che aveva una crepa interna) si è spaccato e due ragazze hanno iniziato a calciarlo, altri a saltarci e ballarci sopra scivolando… insomma, un bel delirio durato circa cinquanta minuti al termine dei quali ho fatto cadere anche gli altri cubi e sono uscito dal retro ponendo fine all’azione.

Mi sembra che la dimensione prevalente dei tuoi lavori sia quella della long durational, una situazione in cui cerchi il superamento di una condizione fisica, arrivando talvolta anche allo strenuo…

NF: Ho fatto sia long durational che performance con un tempo prestabilito di 10-15 minuti. La dimensione della durata ti fa vivere la performance in una maniera diversa, soprattutto sul fronte di come dosare l’energia. Ultimamente sto affrontando soprattutto long durational, esperienze più difficili che richiedono di saper spalmare l’energia su un tempo molto lungo, con una concentrazione mentale più elevata. Questo è il motivo per cui, a differenza di tempo fa, produco molto meno, circa un lavoro all’anno. Le performance hanno naturalmente una fase di preparazione, ma anche (cosa che spesso viene trascurata) un post; prima di una ripresa totale il mio corpo attraversa una fase di debolezza, dovuta anche agli spostamenti. Poi ogni performance è diversa, anche Diventa ciò che sei è una long durational, ma sono seduto ad un tavolo mentre tocco dei capelli di mia madre, mentre in altre, come The beginning (dove soffio fino all’insufficienza respiratoria) e Overshoot day (dove respiro in un bicchiere tenendolo attaccato alla bocca), la resistenza fisica e mentale è molto complessa.

Le tue performance sono documentate dal video in ambienti particolari, mi viene in mente Overshoot day nella cava di marmo, che ruolo ha il contesto?

NF: L’ambiente è sempre pensato come un elemento che completa e dà senso all’azione. Nel caso di Overshoot day: da piccolo passavo spesso dalle parti di Botticino e ogni volta vedevo i monti sempre più scavati, questo mi dava molto fastidio, avrei voluto andare lì a distruggere tutte le macchine per la salvare la natura dall’estrazione. Pensando a questo ricordo e alla situazione ambientale dei nostri giorni è nato questo lavoro, avevo visto che nella cava si era tenuta una mostra, quindi ho proposto di realizzare lì il video della performance, in presenza del pubblico.

Nelle riprese di performance all’aperto, comunque, oltre alla durata, c’è anche l’elemento non trascurabile del tempo meteorologico. Nel caso di Anamorphosis, in collaborazione con Rain D’Annunzio, eravamo in un bosco nudi con delle garze e c’è stato un temporale, 16 gradi di temperatura che mi hanno fatto battere i denti e tremare. A volte la preparazione non basta perché l’ambiente può cambiare tutto; avendo delle date prestabilite certe cose vengono dettate dalla contingenza.

Di chi e di cosa ti sei nutrito fin ora e di cosa ti nutri oggi?

NF: Nel passato mi sono nutrito di una miscela di visioni, naturalmente Marina Abramović, che mi sembra un riferimento chiaro per quanto riguarda le durational, poi Orlan, Stelarc, Franko B… ma col tempo ho imparato a distaccarmi perché è facile appropriarsi dello stile di qualcun altro.

In quest’ultimo periodo, comunque c’è stato un cambiamento nel mio lavoro. Prima lavoravo molto di più sul mio dolore, il mio corpo, l’approccio era più da body art tour court; nell’ultimo anno ho lavorato invece a visioni più positive, con meno senso del tragico, nonostante rimanga il discorso della resistenza fisica, ma con più leggerezza, come appunto in Dancing on nature.

La ripeterai?

NF: Spero di sì, magari in Italia.

www.nicolafornoni.com

www.grace-exhibition-space.com