Trasformare dati scientifici e fattori comportamentali in parametri estetici, come?

Sono anni che Matteo Martignoni riesce a farlo con un approccio multidisciplinare volto alla rappresentazione visuale del rapporto uomo-ambiente.

Landscape virtuali, sviluppo di software, machine learning… insomma una molteplicità di tecnologie che si traducono in una molteplicità di formati istallativi e tuttavia lo spettatore è posto di fronte a una visione semplice e diretta per quanto spettacolare nella forma. Immaginate di poter vedere con i vostri occhi l’andamento di un’imminente catastrofe naturale e quanto le vostre azioni possano accelerarla.

La pratica di Martignoni è quella del “data artist”: sono i dati il contenuto messo in forma e modellato esteticamente. In un’epoca in cui ogni forma di sapere è accessibile e dove l’intelligenza artificiale è sempre più impiegata per lavori comuni e impossibili agli umani, generare sapere non basta più, esso richiede di essere amministrato e interpretato.

È questa la riflessioni di Martignoni che dal 23 al 25 ottobre, presenterà la sua data driven immersive installation “Terragenesi” a Lipsia presso il KunstKraftWerk in occasione del festival Bright Connect. L’installazione racconta, attraverso una commistione sinestetica di dati, immagini e suoni, il processo di trasformazione geologica della terra come risposta all’attuale fenomeno del surriscaldamento globale.

Dialoghiamo con lui su questo e molto altro.

Una pratica che mi sembra molto presente nel tuo lavoro è quella del “re-shape”.

Se non ho capito male, il processo è quello che userebbe un data artist ma l’idea è quella di rendere visibile allo spettatore possibili cambiamenti imminenti, come quello climatico.

Mi riferisco in particolare al tuo lavoro Human Reshape Analysis, ma anche un po’ al tuo approccio generale. Cosa ci racconti su questo aspetto? 

MM: I miei lavori nascono dall’idea di trasformare dati scientifici e fattori comportamentali in parametri estetici. Negli ultimi anni la mia ricerca si è infatti focalizzata principalmente sulla rappresentazione visuale dei dati, come catastrofi naturali, e sul rapporto tra l’uomo e l’ambiente che lo circonda. Affronto aree tematiche problematiche, l’intento è quello di realizzare lavori di natura processuale, che informino un pubblico spesso non cosciente delle conseguenze delle proprie azioni. I miei progetti conferiscono una chiave di lettura più dinamica e coinvolgente dell’ambiente antropizzato.

La possibilità di far interagire pezzi di software con banche dati di valori reali, mi permette di realizzare dei prodotti dove il mio intervento non controlla completamente tutto il processo, ma si limita ad una interpretazione del dato scientifico. Infatti è proprio quest’ultimo che delinea la forma, anche letteralmente, delle mie opere. L’idea di base è di usare metodi di rappresentazione visuale per mostrare eventi non percepibili direttamente dall’essere umano.

Nei casi di “Human Reshape Analysis” e “Terragenesi” , è proprio la deformazione geologica reale che attira l’osservatore.  L’elaborazione di numerosi dataset, legati alle conseguenze del cambiamento climatico, ha reso possibile la deformazione di territori reali presi come caso di studio, definendo una trasformazione organica percepibile. 

L’analisi dei dati viene trasformata poeticamente grazie alle tecnologie, machine learnings, landscapes virtuali ecc. Come entrano in relazione statistica, tecnologia  e la tua idea di base?

MM: Credo che una formazione interdisciplinare sia la base per lo sviluppo di un prodotto multimediale completo. La possibilità di raccontare un’idea con linguaggi diversi ci permette di progettare uno storytelling digitale più elaborato e dettagliato. 

Nei miei lavori uso molto spesso più di una disciplina per raccontare e strutturare una mia idea, solitamente comincio con una robusta ricerca di articoli e di dati, ricercando analogie o “outliar” (quel valore che di discosta dalla media). Parallelamente, importo i dati in software di generazione video ricercando peculiarità estetiche interessanti, per tornare poi nella fase di modellazione dei dati dove, cambiando leggermente gli algoritmi, isolo valori e dati che hanno una forte estetica. 

Possiamo dire che il processo di campionamento della realtà è fondamentale nelle mie ricerche, troviamo un approccio analogo anche nel progetto di ricerca “In Memoriam”, dove racconto  il legame antropologico che gli esseri umani hanno con precisi luoghi ed oggetti, realizzando diverse digital paintings che mostrano la memoria culturale di un territorio.

L’arte si sta ponendo sempre più la domanda di come sopravvivere o creare nuovo sapere per una nuova era geologica, dentro e oltre l’Antropocene, come si pone la tua ricerca in relazione a questo?    

MM: Viviamo nell’epoca dei database e siamo la società dei servizi, un’enorme quantità di dati ci circonda e ci rappresenta. Ogni nostra azione genera informazioni che si vanno a sommare alimentando banche dati sempre più articolate e complesse.

Viviamo nell’epoca dove ogni forma di sapere è accessibile, dove l’intelligenza artificiale è sempre più impiegata per lavori comuni o per risolvere compiti impossibili per gli essere umani. 

Il nostro lavoro non è solo quello di generare cultura e sapere, ma ci troviamo in un momento particolare della nostra storia dove ci viene chiesto di amministrare questo sapere, di poterlo interpretare a seconda delle esigenze.

Machine learning, deep learning e computer vision sono alcuni degli aspetti che meglio mostrano il bisogno di una forma interpretativa della conoscenza, una formalizzazione di un linguaggio che possa gestire il sapere. Già sul finire degli anni ‘60 si teorizzava infatti una nuova forma di ontologia filosofica applicata alle macchine: l’ontologia informatica.

Attraverso l’ontologia informatica siamo in grado di analizzare strutture dati complesse per determinare la struttura semantica e le relazioni che i costrutti hanno fra loro, permettendo di rivelare nuove connessioni. La struttura organizzativa della conoscenza è una parte fondamentale per l’interpretazione della percezione della macchina.

In conclusione, la mia ricerca tenta di interpretare i risultati di diversi processi stabilendo un equilibrio visivo apprezzabile.

Come ci racconteresti la nascita dello studio Kanaka, come si è costituito il team, come e in quali contesti opera

MM: Ho fondato lo studio Kanaka nel 2011 con il mio collega ed amico Andrea Maioli, abbiamo realizzato tantissimi progetti di diversa natura, da videomapping architetturali, commercials ed installazioni immersive. 

In questi ultimi anni lo studio si è concentrato soprattutto nella progettazione di musei multimediali e nella valorizzazione del patrimonio artistico e culturale italiano. 

Crediamo che le possibilità offerte dal digitale possano incrementare e rinnovare il pubblico che gravita attorno ai diversi poli culturali italiani, ci impegniamo costantemente proponendo sistemi di fruizione innovativi ed immersivi.

Kanaka Studio è uno dei progetti di cui sono più fiero, non solo perché è quello più longevo, ma perchè è una realtà che mi ha permesso di crescere e di sperimentare nuovi territori e linguaggi.

A quali progetti ti stai dedicando attualmente / a quali ti dedicherai nel futuro prossimo?

MM: Al momento sono alla fase finale della produzione di una data driven immersive installation, “Terragenesi”,  che sarà ospitata il 23/24/25 Ottobre a Lipsia al KunstKraftWerk in occasione del festival Bright Connect, un progetto di promozione dell’arte italiana nel mondo. Il progetto è iniziato nel dicembre 2019  con uno dei più rilevanti videomapping realizzati in questi ultimi anni in italia, abbiamo proiettato sulla superficie del Palazzo della Farnesina per due giorni consecutivi.

Terragenesi è una Data Driven Immersive Installation che racconta, attraverso una commistione sinestetica di dati, immagini e suoni, il processo di trasformazione geologica della terra come risposta all’attuale fenomeno del surriscaldamento globale.

Per fine ottobre invece esporrò a Roma, in occasione di Rome Art Week la mia nuova opera “Vel Lignum” (del ciclo In Memoriam), una video installazione che racconta il lento decadimento nel tempo degli oggetti.

L’ultimo appuntamento del 2020 sarà a Venezia in occasione di Venice Contemporary, e presenterò l’opera “Contrapposizioni”, una dittico di due digital painting che porta alla nostra attenzione le similitudine di  elementi naturali come il tronco nodoso ed articolato di un albero e una delle architetture più iconiche della Roma antica, l’Arco di Costantino.