Prima di tutto ci faresti un’introduzione del tuo lavoro?

Prima di tutto ci faresti un’introduzione del tuo lavoro? Sono un’artista che lavora principalmente con la voce e il suono. Creo performance e installazioni, spesso utilizzo anche il video e il disegno, esplorando la voce umana e il rumore in tutte le loro sfaccettature. Ho una formazione sia musicale che nelle arti visive, sono interessata alla pratica e ricerca interdisciplinare. Durante gli studi accademici, ho iniziato ad esplorare intensamente la mia voce. Avevo 21 anni quando mi sono trasferita in Germania, mi trovavo immersa quotidianamente nell’ascolto di una lingua nuova. Iniziai a parlare tedesco e potevo osservare il mio corpo, la mia bocca, la mia postura, la mia voce che cambiava in uno stato di instabilità, ho intuito che tutti quei suoni, fonemi, vocalizzazioni da “straniera” sono interessanti, essi diventano materia viva per le mie
composizioni. Traggo molte ispirazioni dalle lingue che non conosco, dal paesaggio in senso sia reale che immaginario e dalle micro-storie che ne emergono. Negli ultimi anni ho creato opere performative, concerti, opere radiofoniche e installazioni multimediali. Nei miei lavori affronto tematiche legate al corpo, migrazione, identità e memoria sonora. La memoria è per me un topos di continua esplorazione: la memoria della
nostra voce che si manifesta in emozioni sconosciute, la memoria di un gesto grafico su carta che può manifestare e rivelare nuove tracce sonore interpretabili in musica.

http://www.ezramo.com/works.html

Hai recentemente presentato un nuovo lavoro chiamato La Santa Monica, a cosa fa riferimento il titolo?

“La Santa Monica” è una performance sonora che ho presentato a luglio 2022 presso KORA Centro del Contemporaneo a Castrignano De’ Greci (Lecce) per la mostra collettiva “Parla del Tuo Villaggio”. Per quest’opera, che ho iniziato ad elaborare nel 2021 a Berlino ancora durante la pandemia, ho cercato di creare una profonda esperienza di ascolto collettivo assieme al pubblico attraverso l’uso di voce, field recordings, testo, disegno, e sale marino. Il titolo “La Santa Monica” è l’italianizzazione de A Sand’ Monec’, il nome in dialetto di un antico rituale di divinazione pugliese, tra paganesimo e cristianità. Al centro di questo rituale erano la voce e l’interpretazione magica dei suoni ascoltati dal balcone e dalla strada, spesso negli incroci stradali – luoghi anticamente reputati sacri e dove si manifestavano anime, madonne e santi. Nel rito de A Sand’ Monec’ tutti i suoni uditi come ad esempio il vociare delle persone che camminano per strada, l’abbaiare di un cane, il miagolìo di un gatto, il fischio di un treno lontano, lo squittìo della civetta, il rumore della pioggia, di un tuono, sono segni interpretabili e rivelano un destino. Per la mia performance ho creato un rituale diverso, nuovo, in cui ho messo in campo suoni della nostra realtà contemporanea. Nel fare ciò, ho avuto modo di elaborare l’esperienza stranissima che abbiamo vissuto nel lockdown durante la Pandemia di ascoltare il mondo dal balcone o dalla finestra di casa.

Qual’è la radice culturale di questa pratica? Ci racconti come ti è stata tramandata questa tradizione?

Il rituale de A Sand’ Monec’ era praticato dalla mia bisnonna a Castellaneta, una cittadina in provincia di Taranto. Mio padre mi ha raccontato di come sua nonna fosse solita accogliere nella terrazza di casa un gruppo di donne alla mezzanotte, per pregare insieme la Santa e chiederle di inviare dei segni sonori – ma anche visivi. Ascoltando, lei stessa avrebbe saputo interpretare questi suoni. Tali segni sonori funzionavano quindi come risposta ai quesiti delle donne riunitesi lì alla mezzanotte, domande riguardanti i loro desideri, sogni e tormenti esistenziali. Ad esempio: il miagolio del gatto significa litigio / il fischio del treno significa che il marito torna sano dalla guerra…etc. Il rituale era dunque guidato da una sorta di “sciamana” devota pugliese, che in questo caso era la mia bisnonna. Era un modo estremamente creativo e immaginifico con cui le donne comprendevano e vivevano la propria realtà, mettendosi in ascolto. Mio padre mi ha raccontato che da bambino ha assistito di nascosto al rituale de A Sand Monec di sua nonna e le donne. E mi ha anche raccontato aneddoti comici, come quando una volta lui si era nascosto in casa in prossimità del terrazzo dove le donne si erano incontrate e stavano svolgendo il rituale, e allora lui si divertì a disturbarle e prese ad imitare il latrato di un cane lupo “Uuh! Uuhhhhhh!”, e quindi sua nonna si arrabbiò molto e lo cacciò. Io ho ereditato il racconto di questo antico rituale in casa, in un’atmosfera allegra, non l’ho ereditato attraverso libri di antropologia. Mi affascina il fatto che dentro ognuno di noi possano stratificarsi esperienze dei nostri avi. Attraverso queste stratificazioni, o “sedimenti”, gli avi continuano a vivere nel presente, a volte in forma di racconti o di
canzoni. Pur appartenendo ad un’altra generazione, io sento molto vicino l’approccio all’ascolto del mondo circostante che quelle donne pugliesi adoperavano, ne faccio tesoro. Mi piace l’idea di trasformare questi “sedimenti”, di focalizzarmi su piccole storie che diventano di fatto storie universali.

Questo rito è composto da stratificazioni di simboli: la notte, le donne, i balconi, il silenzio, la preghiera, il luogo oracolare… Quali di questi simboli sono entrati a far parte della tua performance?

Cercando di attivare la memoria di questa pratica divinatoria arcaica di invocazione e interpretazione della realtà, nella performance uso come strumento acustico un mucchietto di sale marino, che funge da elemento purificatore. Il sale ha un suono ruvido, e con microfoni e una scatola di legno lo manipolo e trasformo in un oggetto sonoro, evocando il suono dell’acqua di mare, come un ricordo, un’eco lontana. Leggo un mio testo-preghiera dal vivo. La mia voce canta un racconto astratto e non lineare, essa diventa spazio tra pubblico e privato, tra l’interno e l’esterno, proprio come il luogo del balcone. Il corpo si espone quindi in un rituale “sulla soglia”, in stasi e in movimento. Creo un percorso circolare su un lenzuolo bianco steso a terra dove ci sono i miei disegni-partiture musicali, trascrizioni dei suoni che ho registrato e ascoltato durante la residenza a Castrignano De’ Greci a giugno: principalmente ho ascoltato e registrato di giorno ma soprattutto di sera tardi il canto degli uccelli, sembrava che questi avessero riconquistato il villaggio. Cosa può raccontarci questo paesaggio sonoro? Forse che a Castrignano ci sono molte case vuote, come in molti paesi del Sud-Italia, e quindi la natura si riappropria degli spazi precedentemente abitati dalle persone. Durante la residenza ho potuto ascoltare e registrare anche i racconti di alcune donne sugli uccelli di Castrignano, tra cui la storia di una donna a cui è morta la figlia e recentemente tutti i giorni viene a vistarla una gazza nel suo giardino e mangia un pò delle pere del suo albero. La donna è convinta che la gazza sia l’anima della dolce figlia defunta. Lascio confluire nella performance in modo delicato queste micro-storie, le impressioni, i silenzi, nuove preghiere, rumori e suggestioni provenienti dal reale.

Come hai mantenuto la dimensione di ascolto profondo che è al cuore di questo rito nell’atto espressivo?

Ascolto il mondo con attenzione e cerco forme prolungate e modalità lente, contemplative. Ascoltare per me significa dialogare con il mondo intorno. Mi interessa mantenere un’attitudine alla cura di ciò che di prezioso la realtà sonora attorno ci offre. Evito consapevolmente ogni forma di virtuosismo che possa diventare inutile manierismo o peggio auto-celebrazione, sia nell’uso delle mie tecniche vocali che in quelle di registrazione. La capacità di ascoltare senza dubbio si basa su un’attenzione profonda che va esercitata e sviluppata con rigore, come per qualsiasi tecnica.

Come si esprime per te l’affinità tra rito e performance?

A proposito di modalità lente in una società che invece ci vuole consumatori e sempre connessi, nello spazio rituale della performance dal vivo ho la possibilità di stabilire un tempo mio, dove non sto consumando qualcosa, ma la sto usando per condividerla con le persone nel pubblico. Le pratiche rituali generalmente offrono la possibilità di rapportarci in modo equilibrato non solo con le altre persone, ma anche con le cose inanimate, con gli animali e con la natura.

Quali sono le prospettive per la Santa Monica?

Sto approfondendo la pratica dell’ascolto serale e notturno. No, non soffro d’insonnia, anzi! Mi affascina l’esplorazione di quello stato tra la veglia e il sonno, quando fuori sembra tutto più silenzioso e amplificato, il tempo sembra rallentare, ci sono le stelle e la luna. Su invito di Piersandra Di Matteo (Short Theatre) per la rassegna Fermento. Territori.Suoni.Moltidudini a Roma nel Municipio 3 a Novembre e Dicembre ho realizzato
la mia nuova performance sonora per coro e field recordings Canto Notturno, insieme a un gruppo di performers e persone residenti a Roma. Ci siamo immersi nell’immaginario notturno e nel paesaggio in continua evoluzione della città. In Canto Notturno il coro mette in scena le suggestioni acustiche crepuscolari semi-nascoste e udibili dello spazio urbano, creando una drammaturgia vocale di canti, rumori, ninna nanne, preghiere e lingue inventate. Tutto ciò, partendo dal potere immaginativo della notte e dai suoni misteriosi che essa offre, esplorando appunto lo stato tra il sonno e la veglia. L’11 Dicembre abbiamo presentato pubblicamente il lavoro presso gli spazi di Brancaleone a Roma, è stata un’esperienza di grande intensità.

https://www.area06.com/2022/10/25/fermento-canto-notturno/

Fotografie:

© Gabriele Albergo

© Wendelin Büchler