È appena uscito e si intitola Rainer Werner Fassbinder. Una luce dal di dentro ed è uno dei “fotogrammi”
dell’interessante collana che la casa editrice Bietti (Milano) ha dedicato al rapporto tra suono e cinema.
È un libro acutissimo che si configura come analisi profonda della drammaturgia sonora dei film di Fassbinder e della
vera funzione del suono che Mirani paragona a quella della luce nelle cattedrali gotiche, a quel glimmer in grado di
creare l’architettura stessa con una struggente diafanità. Oltre a questo, immergendoci nelle pagine, avvertiamo un’altra
pulsione, di cui la ringraziamo forse ancor di più: riportare Fassbinder sotto i riflettori, come lei stessa afferma, in nome
dell’ ars amandi da lui desiderata, e cioè in nome della “liberazione di nuove soggettività, di nuove forme di corporeità e
di nuove pratiche sessuali”.
Musicista, cantautrice del gruppo Viadellironia e chitarrista, ricercatrice, autrice tridimensionale che riesce a tenere
insieme i riferimenti più pertinenti e tecnici dell’indagine musicologica con il pop, in una visione trasversale, aperta e
generosa, Maria Mirani, con questo libro ci ha fatto un vero regalo.
Per parlare della tecnica di sovrapposizione utilizzata da Fassbinder, ha coniato l’espressione “overloaded soundtrack”.
E noi vi consigliamo di leggere questa intervista aprendo più finestre di Youtube e mettendo qualche brano a vostra
scelta tra Kraftwerk, Each man kills the thing he loves cantata da Jeanne Moreau, musiche grottesche e cabarettistiche
varie, Mahler, o qualcuna delle vostre sequenze must del nostro amato Rainer Werner, scomparso trentasettenne nel
giugno di quarant’anni fa.

Dai, dicci, qual è la sequenza suono-immagine che più ti ha impressionata dei film di Fassbinder? Intendo quella magica che ti ha fatto sviluppare una riflessione profonda sulla drammaturgia musicale dei suoi film…

Credo che la più iconica, nella sua brevità, sia la sequenza che inserisce Radio-Activity dei Kraftwerk. Fassbinder sfodera questo brano in più pellicole, del resto. Faccio in questo caso riferimento a Roulette Cinese (46esimo minuto). In questa sequenza sospesa, anti-narrativa (come spesso accade in Fassbinder), l’elettronica corrotta e presaga dei Kraftwerk si comporta come una protesi semantica, e quasi come una protesi morale, della bambina poliomielitica che insidia il sistema chiuso e ipocrita di questa famiglia borghese tedesca. La bambina (che vuole attentare al suo stesso nucleo famigliare) viene incaricata dalla musica di scortare significato mortifero e sovversivo, esprimibile solo con il più anti-logico dei mezzi artistici, la musica. E per questo l’adozione del medium musicale non è decorativa, accessoria: perché solo la sua natura a-logica può autenticamente consegnarci ad un profondo senso di morte.

Come scrivi nel tuo Fotogramma, Goebbels definì Lili Marlen al suo esordio radiofonico come “una caramella al sapore di morte”, pensi che potremmo utilizzare questa definizione per parlare di tutta la filmografia di Fassbinder? Che cos’è per te, in termini musicali, una “caramella al sapore di morte”?

Bellissima domanda! Nella popular music, e in particolare in alcune strutture tradizionali quali il refrain, o il cosiddetto special, risiede un potenziale nostalgico elevatissimo. Questo in virtù del fatto che i materiali del pop sono come già sedimentati in noi, come una canzone delle più conosciute. Mi accade spesso di stranirmi all’ascolto di canzoni estremamente pop, che apparecchiano melodie semplici e così perfette da esemplare quella famosa idea michelangiolesca delle forme nascoste nel marmo grezzo. Nella popular music esiste una sorta di prescienza della fine. Una potenza plastica cristallina nella sua immediatezza, e insieme nostalgica. Proust (mi pare ne I Guermantes) sostiene che il ritornello ha sempre la malinconia di qualcosa che ricade nel passato. Pensiamo alle ballads, e a quel limpido utilizzo di stilemi tradizionali, assolutamente tonali, cristallini nella loro intelligibilità e immediatezza. Eppure, spesso, così tristi da devastarci il cuore, come dice Adorno per la musica di Mahler, che spessissimo affastella melodie popolari accanto a momenti di tensione sperimentale. Prendiamo ad esempio una canzone come Do You Realize, dei Flaming Lips. È una delle mie canzoni preferite di sempre. La sua identità armonica è di una semplicità sconcertante, la sua immediatezza traslucida e tristissima, come una caramella al gusto di morte. O, per dirla ancora con Adorno, con “un’allegria da condannato a morte”. O ancora, pensiamo ad Across the Universe, che consiste della stessa accecante, maggiore e tristissima solarità. In definitiva sì, penso che “caramella al sapore di morte” sia una perfetta definizione del suo cinema.

Vorrei che spiegassi in cosa consiste la tecnica dell’overloaded soundtrack, tu la metti in relazione allo straniamento brechtiano…

“Overloaded soundtrack” è una formula che ho coniato riferendomi ad una funzione musicale che troviamo spesso nei film di Fassbinder. Ci troviamo davanti ad un sovraffolamento di materiali musicali, spesso provenienti da universi differenti (musica aulica, musica pop, voci radiofoniche o televisive, voci fuori campo o voci intradiegetiche), che collaborano alla creazione di una simultaneità, di una polifonia di eventi sonori. Sono convinta il regista volesse distaccare, con questa tecnica,lo spettatore dalla credulità verso la narrazione, verso la storia. In generale, voleva smentire l’autoevidenza della narrazione attraverso questo sistema, per disinnescare l’autoevidenza del reale stesso, delle sue leggi che troppo spesso ci sembrano neutre. Come Brecht mediante lo straniamento, Fassbinder cerca di stornarci dalla credulità verso il reale attraverso l’applicazione dell’overloaded soundtrack, che non ci consente mai di lasciarci completamente immergere nella narrazione.

I personaggi di Fassbinder vivono le leggi sociali come opprimenti rispetto alla propria natura e molto spesso quello che sperimentano è la rovina. Come spieghi, Peer Raben, il compositore che lavorava con Fassbinder, spesso assegnava a ogni personaggio un atteggiamento musicale, come avveniva più nel dettaglio questo lavoro di costruzione formale? 

In questa funzione musicale, che consiste nel connotare i caratteri dei personaggi mediante atteggiamenti musicali particolari, troviamo moltissima storia. Sia nel contesto della storia della musica (pensiamo alle modalità del pittorico in musica -Liszt, Berlioz, Mussorgsky), sia nel contesto della letteratura (pensiamo, ancora, alla piccola frase della sonata di Vinteuil in Proust). Anche Peer Raben e Fassbinder assegnano delle responsabilità di caratterizzazione molto specifiche e puntuali agli eventi sonori. Pensiamo al caso di Mieze, nel Berlin Alexanderplatz. La dolce ragazza è una delle pochissime riserve di felicità capitate al povero Franz Biberkopf. Il ruolo di Mieze è consolarlo, dargli delle forme di speranza per il futuro. La musica accordata a questa caratterizzazione, allora, è sempre confortevolmente adagiata nel regno della tonalità: un regno melodico, arioso, sinfonico e consolante. Un mondo che ci fa stare a nostro agio. E proprio questa è la posizione di Mieze nel cosmo disperato di Franz: accoglierlo sempre, e consolarlo. Prendendo ad esempio, ancora, il caso di Radio-Activity in Roulette Cinese, possiamo intercettare una gestalt completamente antitetica. Il pezzo dei Kraftwerk è greve, mortifero, dissoluto, puntato, velenoso. Come il personaggio (attentatore del sistema) a cui viene allegato: Angela, la bambina.

Trovo molto interessante il parallelismo che fai nel finale, del tutto personale, tra la funzione del suono nei film di Fassbinder e la luce nell’architettura gotica, cosa che poi giustifica anche il sottotitolo del libro, “Una luce dal di dentro”… qual è il legame che istituisci?

Ho scelto di imperniare parte dell’analisi musicale su un parallelismo architettonico perché confido nell’eloquenza transmediale della storia dell’arte. È un metodo pericoloso, perché si corre il rischio di gettare delle corrispondenze di segni tra arti differenti aporetiche e capziose. Ho cercato, quindi, di utilizzare un sistema fatto di evocazioni e di riverberi gestaltici, più che di ponti linguistici. La cattedrale, del resto, è un feticcio ricorrente della letteratura occidentale, così come un luogo mentale della storia del cinema. Pensiamo al gotico di Proust, di Hugo, e alla cattedrale in El di Bunuel o alle sequenze ecfrastiche di F for Fake di Orson Welles. Credo che possa esserci utile per rischiarare alcuni segni ricorrenti negli edifici filmici di Fassbinder: una spiccata tendenza al linearismo, alla composizione grafica, talvolta quasi piranesiana; un’evidente gestalt verticalizzante, spiritualizzante, flamboyant. In ultimo, ho riscontrato nell’atteggiamento luministico diafano (consistente in un costante effetto di gibigiana, di glimmer) che alloggia in tanti film del regista tedesco (Berlin Alexanderplatz, Querelle, Lola), una messa in scena della bellezza inconcussa e insieme deteriorata della luce che riempie le cattedrali gotiche. Una luce spiritualizzante, che vorrebbe tendere alla sublimazione di un corpo che non smette mai di risultare disgustoso nel sottrarsi ai bisogni dello spirito (frase di Fassbinder), ma che finisce sempre per schiantarsi su un fondo di immonda organicità. La musica stessa lavora in questi termini, erodendo (con improvvisi scarti atonali o cabarettistici) iperuranie situazioni melodiche sospese, ariose e tonali. Credo Fassbinder amasse tanto la musica di Mahler anche per questo simile trattamento dei materiali musicali, sempre in un dialettico ed interno dissidio reciproco. Un senso ammalato, organico, nascosto da una diafana luce.

Fassbinder è ancora molto amato, quell’ estetica è ancora contemporanea, tu la attraversi nel libro sotto la lente di altri sguardi come quello di Nietzsche, Brecht, Berg… mi sento di dire che potremmo tranquillamente accostare anche Sade all’universo da te tracciato, tra l’altro protagonista di Sade Valentino, brano che hai da poco pubblicato come cantante di VIADELLIRONIA. Cosa ti affascina o cosa pensi sia ancora in grado di parlare alla contemporaneità all’interno di questo orizzonte di riferimenti?

Fassbinder era un assiduo frequentatore dei circuiti dell’underground kinky e sadomaso. Era interessato a tutte quelle pratiche che imponessero uno scarto, un clinamen, alle consuetudini sessuali e ai comportamentali tradizionali, perché era convinto che l’amore fosse il più efficace dei sistemi di repressione sociale. L’attualità di questo modello di pensiero è straordinaria. I legami affettivi funzionano ancora, molto spesso, secondo criteri costrittivi, e sono molto felice di appartenere ad una comunità (quella LGBTQIA+) che sta lavorando nella direzione di una dissoluzione di questo sistema solare irrigidito, e nella costruzione attiva di un’ars amandi molto simile a quella desiderata da Fassbinder. Anche per questo spero che il suo cinema (e il suo pensiero), possano essere analizzati sotto la lente contemporanea della liberazione di nuove soggettività, di nuove forme di corporeità e di nuove pratiche sessuali.

ORTICA

Ortica è uno spazio dedicato a pratiche urticanti, suoni infestanti, conversazioni su nuove uscite, nuove cosmogonie, comunicazioni interspecifiche, mostri, stregoneria e interdisciplinarietà, science-fiction e sabotaggi elettronici.

Un’intervista mensile per svelare il vigoroso e strisciante rizoma di figure del panorama contemporaneo urticanti quando benefiche al nostro sistema immunitario.

Intervista a cura di Giulia Deval.

Giulia Deval è una cantante e sound artist italiana. Il suo lavoro si articola in formati diversi come live set, creazione di abiti sonori, concerti di personaggi immaginari e azioni partecipative per voci e nastri magnetici. 

Dal 2018 è parte di Rica Rickson, un network femminista internazionale creatosi durante il progetto europeo ITERATIONS tenutosi tra Hangar.org (Barcelona), Dyne.org (Giampilieri), esc medien kunst labor (Graz), Constant (Bruxelles).