Endless Incapacitating Discomfort, intervista a Venta protesix
|Testo: Giulia De Val|
È appena uscito su bandcam, è l’ultimo lavoro di Venta protesix (Italo Belladonna, Salerno 1985) che già dal titolo getta abbastanza nello sconforto: Endless Incapacitating Discomfort. Psychotic collapse, Post-Masturbatory suicide, Sweet Hospital Smell (solo per citarne alcuni), sono i nomi appioppati ai brani di questo disco che sarebbe completamente inutile commentare o recensire, trattandosi di puro disturbo. Tutto nasce dal riutilizzo di vecchie patches che Italo Belladonna realizza con Max/Msp con un laptop. La non-musica di Venta protesix è tuttavia qualcosa di autentico e necessario ed è per questo che ne vogliamo parlare. Le sue posizioni (di cui leggerete) potrebbero essere etichettate come “politicamente scorrette” in una società (e in un orizzonte musicale) che tende ad appiattire tutto in un bieco eufemismo, questo perché il suo obiettivo rimane la rottura e l’intercettazione di pubblici “diversi”. Venta protesix ci spinge a riflessioni crude sulle dinamiche dell’ascolto e rimane lontano da intellettualismi, élite e gruppi che utilizzano le musiche non convenzionali come pretesto per l’aggregazione. Se la musica contemporanea si presenta spesso come estetizzante anestetico, quella di Venta protesix è l’esatto opposto, un taglio nella carne che ci riporta all’essenza vera delle musiche non convenzionali, in una riflessione che sarebbe ingenuo separare da una visione sociale e politica a 360°.
Ascoltare tutto questo non è certo una passeggiata. Se non siete abituati a pensare a questa musica/non-musica come a qualcosa di urticante, o perlomeno di estremo e consapevole e/o se la musica improvvisata è per voi un modo per ritrovarvi con i vostri amici a bere qualcosa, beh, allora skippate al prossimo articolo…oppure, leggete attentamente. In un’ intervista per The New Noise, dichiarava: “Con questo nome finto che mi sono dato, Venta Protesix, non rientro in nessun genere preciso, quello che faccio con il mio laptop non può (e non deve) essere definito nemmeno musica. Il risultato finale è qualcosa di troppo estremo/perverso/squilibrato nell’ambito della computer music più seriosa e colta, mentre, viceversa, è qualcosa di troppo alienato/computerizzato/snob per tutti quelli che fanno harsh noise classico con i pedali e gli strumenti analogici. Per sempre fuori da ogni scena. ”[1]
[1] In “La malinconia di Italo Belladonna” di Tommaso Gorelli, The New Noise, 29.11.2014, (https://www.thenewnoise.it/la-malinconia-di-italo-belladonna/)
Cosa ti ha portato a questo nuovo album? Continui a usare esclusivamente il tuo famoso laptop rosa?
IB: Purtroppo il laptop non è più rosa ma è diventato nero e ovviamente continuo ad usare solo questo mezzo per produrre musica rumorosa e inutile. Non c’è stato nulla che mi ha portato a concepire questo nuovo album per Urbsounds, semplicemente ho ritrovato delle vecchissime patches realizzate con Max/Msp che credevo perse per sempre e ho tirato fuori dei nuovi brani. Considero Endless Incapacitating Discomfort come il mio disco più “pop”, quello più accessibile alle orecchie comuni. Addirittura tracce come Robot Arousal Experiment o Existential Failure in un mondo futuro abitato solo da androidi potrebbero essere considerate “ballabili”, ma naturalmente non dovrebbero essere ballate perchè se facessi musica per far muovere le persone allora smetterei immediatamente di ossessionarmi con questi rumori e mi dedicherei a dei passatempi diversi.
Cos’ha di così attraente per te il disturbo estremo? Cosa auspichi per chi ti ascolta?
IB: Non si tratta di un’attrazione verso il disturbo o verso il rumore estremo, la realtà è che le mie giornate tipo sono noiose e statiche, attanagliate dal silenzio e dalla presenza ripetuta di piccoli rumori domestici. Non vivo in una grande metropoli frenetica e ipercaotica e di conseguenza il silenzio e l’incomunicabilità la fanno da padrone nelle mie giornate. Forse per questo motivo ho iniziato a fare musica a volumi estremi.Mi interessa fare questa non-musica per scatenare delle reazioni negative nei miei ascoltatori, mi piacerebbe che le persone stessero male dopo aver ascoltato i miei rumori computerizzati, vomito, giramenti di testa, nausea e malessere psicofisico in generale sarebbero degli ottimi risultati per quel che mi riguarda. Vorrei portare le persone ad avere delle reazioni violente, incontrollate e magari a compiere degli atti auto-lesionistici nei propri confronti.
Musica e aggregazione, vuoi approfondire un po’ la tua opinione su questo binomio? Cosa ne pensi ad esempio della formazione di collettivi o di situazioni condivise che hanno come fulcro la musica sperimentale?
IB: Prima di tutto voglio dire che musica e aggregazione è un binomio che non è mai esistito nella mia vita. In verità la musica, nella mia vita, mi ha sempre portato ad isolarmi piuttosto che a socializzare con delle persone con i miei stessi interessi. A dirla tutta, credo proprio che Venta Protesix nasca da questo continuato isolamento. Faccio un esempio: durante gli anni dell’adolescenza ho vissuto in un paese di provincia, Internet stava prendendo piede lentamente, le uniche notizie musicali arrivavano dalle riviste che si compravano mensilmente in edicola. Stop. In più, nel posto dove abitavo non c’erano band attive che suonavano, o negozi di strumenti musicali, o di dischi dove ascoltare musica. Proprio questa situazione mi ha portato a creare un’identità come quella di Venta Protesix, perché se fossi cresciuto in una metropoli o in una città più grande dove ai tempi del liceo era normale avere la propria band con cui fare musica punk, probabilmente sarei finito a suonare il basso o la chitarra elettrica in uno di questi gruppi, e quindi il mio approccio verso la musica sarebbe stato diverso e non si sarebbe mai arrivati a quello che poi è stato il mio primo disco pubblicato nel 2008. Avrei preso una strada diversa e molto probabilmente sarei finito a fare un genere musicale diverso. E per quanto riguarda il discorso sulla formazione di collettivi o di situazioni che hanno a che fare con la musica sperimentale, prima di tutto non ho mai fatto parte di un collettivo e per me è anche impensabile l’idea di formarne uno. E per di più detesto le persone che definiscono la propria musica come “musica sperimentale”. Secondo me il termine “sperimentale” è un termine usato male, soprattutto musicalmente. A mio parere la musica sperimentale non è quella fatta da rumori astratti e realizzata con software professionali complicatissimi, dovrebbe essere una musica di rottura, inutile come tutta la musica in fondo è, che si pone come alternativa e che va contro quello che invece il sistema musicale ci propina. Ma non è intesa solo in una accezione strettamente musicale, ma è un discorso più ampio, a 360°. È una rottura nei confronti della vita, delle regole che fanno girare la parte di mondo in cui abitiamo. E quindi cosa ne devo pensare di questi collettivi che si occupano di musiche elitarie? Sono semplicemente delle persone che usano la musica per fare gruppo, e specialmente sono persone che usano la musica per creare una rete di contatti in modo tale da avere poi situazioni favorevoli in tante parti diverse del mondo. Per suonare nei festival più “importanti” o per avere pubblicazioni su quelle che sono le etichette che propagano musica “ufficiale”.
Molto del materiale che usi è di provenienza pornografica e legato alla cultura di massa giapponese, un album come “anni di masturbazione” ci dà qualche suggerimento sulle tue intime passioni e abitudini. In che modo queste tue ossessioni si trasformano in disturbo sonoro?
IB: Molto semplicemente le sottoculture giapponesi hanno avuto un aspetto rilevante nella mia crescita, insieme ad un abuso di materiale pornografico, e di conseguenza è normale che i miei dischi o i titoli delle mie tracce abbiano a che fare con questo mondo, si tratta semplicemente di unire quelle che sono le mie ossessioni, i miei pensieri più ricorrenti. Tuttavia, penso che in molti miei dischi i titoli e i contenuti non-musicali siano piuttosto vari: si passa da un album più malinconicono e sognante, come New Sad Epilogue Of My Nice Electronic Composer, a dei dischi molto più eccessivi e violenti come Erotic Dreams Of A Young Slut With An Amputated Leg, fino poi a perdersi nell’ossessione giapponese e negli aspetti più contorti, deviati e per questo motivo più affascinanti dell’essere umano.
Abbiamo letto che in terra natia sei parecchio temuto, per qualche incidente su impianti audio e per una certa performance con una bambola…
IB: Sì, sono “temuto” in terra natìa, come ho già detto in altre interviste che ho fatto precedentemente. Sono abbastanza odiato dai proprietari di sale prove, perché hanno paura che possa distruggere le loro strumentazioni per via dei volumi su cui mi spingo e soprattutto per il tipo di frequenze che il mio computer emana. Ma a dirla tutta mi sono reso conto che quello che veramente alle persone fa paura o che in qualche modo mi fa essere “temuto” non è tanto la violenza sonora in sé, ma proprio il mio approccio verso la musica che è totalmente anti-musicale, senza la benché minima conoscenza sotto l’aspetto tecnico di quello che sto andando a fare. E quindi anche il mio approccio contro l’aggregazione, il mio fare musica non per voler esibirmi nei locali più in voga o in qualche festival gettonato in città ma semplicemente per infastidire le persone e per alimentare il loro stato di malessere contribuisce a fortificare questo personaggio “temuto” e al tempo stesso odiato da tutti quei miei concittadini che non condividono la mia visione della musica.
Come vengono accolte le tue performance all’estero e come sono state accolte in Giappone?
IB: La differenza sostanziale tra le mie performance all’estero e quelle in Italia è che le mie performance (termine che detesto e che non uso mai per parlare dei miei live) all’estero sono pagate tranquillamente. Mentre in Italia è davvero difficile che questo accada. Le persone all’estero quando mi ascoltano molto spesso hanno la stessa reazione che hanno in Italia: sono “impaurite”, confuse o delle volte sono stranite. Ad esempio in Giappone dopo il mio live nel 2015 all’Ochiai Soup a Tokyo, parlai con una ragazza giapponese, con un giapponese ancora piuttosto zoppicante da parte mia, e lei mi diceva che definiva la mia musica come una musica strana, folle, non esclusivamente per l’impatto sonoro devastante, ma per la mancanza di una struttura. Perché quando si ascolta un mio live non si sa mai dove si va a finire. Non è come ascoltare un live di musica harsh noise wall dove a farla de padrone è sempre la presenza costante del rumore statico in sottofondo. E quindi la mancanza di struttura, il non sapere dove questi rumori che ti piombano addosso possano andare, crea nell’ascoltatore uno stato di insofferenza e di disorientamento, che fa pensare che io mi approcci al mio laptop come una persona autistica che comunica (non sforzandosi di riuscirci) solo tramite dei freddi rumori digitali.
Altri “anni di masturbazione” sonora sono in programma?
IB: Nei prossimi mesi un’etichetta austriaca Hirntrust & Hirnplatzt pubblicherà un 7″ con fumetto a parte intitolato Post Masturbatory Suicide. Si tratta di un’edizione speciale che conterrà appunto un fumetto ideato da me e disegnato da Nightputrid, che parla di malattia e masturbazione. A breve dovrebbe uscire anche forse il mio lavoro più astratto e problematico di sempre dal titolo Soundtrack For An Android’s Dreams per Quantum Natives e sono sicuro che sarà uno dei miei “lavori” più difficili da ascoltare e da digerire. L’idea di questo disco mi è venuta in mente guardando The Whispering Star di Sion Sono, un film che ho apprezzato molto. E nel 2019 invece è in programma l’uscita di un LP con Urbsounds, l’etichetta Slovacca di Bratislava che ha prodotto i miei due ultimi album. Per concludere è ormai da un anno che non mi esibisco live, dall’ultima data di Lisbona, spero di sentirmi meglio da un punto di vista psicofisico, di ricominciare lentamente ad uscire di casa visto che ormai sono rinchiuso in questa condizione da diversi mesi, e di ricominciare ad esibirmi live in giro.