Misterium tremendum et fascinans, il corpo, scrigno che contiene e nasconde, luogo in cui, silente e incontrollato,  può farsi strada un male fisico, interno. Idronefrosi, titolo della mostra da poco inaugurata alla Galleria Moitre di Torino e curata dall’Associazione Quasi Quadro, è il male che ha colpito Andrea Famà in età infantile, un male da poco ritornato per essere materializzato in senso letterale dallo scultore. L’elemento autobiografico funziona in questo caso da veicolo, riconferma con forza e autenticità il rapporto che Famà intrattiene con la materia e che caratterizza i suoi lavori fino a oggi. In estrema sintesi, il linguaggio di Famà si potrebbe descrivere come un corpo a corpo condotto ogni volta con un materiale diverso scelto per un intrinseco nucleo poetico.

Nato a Catania nel 1988 e trasferitosi a Torino, Famà completa il suo percorso in Scultura all’Accademia Albertina di Torino, ma sviluppa parallelamente un interesse per la parola poetica scritta. Inizia a presentare il suo lavoro come scultore in esposizioni personali e prestigiose collettive (Young Artist Biennale del Mediterraneo, Zona Maco Arte conteporaneo, Centro Banamex di Città del Messico) e prende parte a residenze artistiche internazionali in Portogallo e Cina.

Parliamo quindi di un artista giovane su un buon cammino, come del resto Adi Haxhiaj, Anna Ippolito, Arjan Shehai, Arsiom Parchiynski, Barbara Fragogna e Maya Quattropani, artisti che la altrettanto giovane Galleria Moitre ha saputo valorizzare in questi anni di attività mirata alla promozione dei nati dopo gli anni ’80.

Ma veniamo alla mostra: “idronéfrosi o idronefròsi?” si sono chiesti i visitatori. Da vocabolario, idronefròsi, è la dilatazione del bacinetto renale che causa il ristagno dell’urina e ne impedisce il deflusso, provocando la compressione del rene. Tale patologia si manifesta con dolori profondi in rapporto alla distensione della sacca, oppure può restare silente a lungo e rivelarsi solo per un’eventuale complicazione infiammatoria, che si palesa con febbre suppurativa, emissione di pus con le urine, dolori e tumefazione lombare. La cura è essenzialmente chirurgica e può richiedere l’asportazione del rene malato (nefrectomia).

Ciò che risulta compromesso, e dolorante, nel corpo stesso dell’artista, è il giunto che collega rene e vescica, trasfigurato in una grande installazione al centro della galleria. Un enorme cordone nero di materiali plastico si srotola dal soffitto per arrivare al pavimento invadendo la stanza. Un mostro nero, l’incubo di un bambino che diventa vero, visibile, invadente, gigante.

Nella stessa stanza un bozzetto dell’installazione e una piccola tela rivestita dello stesso materiale che l’artista ha scelto per una sorta di indomabilità molecolare, per l’attitudine a ripiegarsi e l’impossibilità di essere plasmata, in forte assonanza con la patologia.

E poi l’ultima stanza della mostra, un vuoto, un teatro in cui la consistenza dell’aria cambia e in cui campeggia la scritta, nera,  Misterium tremendum et fascinans, “mistero tremendo e affascinante” e cioè il corpo, la malattia, tutto ciò che ci rimane sconosciuto.

All’ingresso anche una pubblicazione, Di seta, di fango, curata da Famà insieme alla Galleria Moitre e all’Associazione Quasi Quadro che raccoglie poesie di viaggio e alcuni pensieri legati all’idronefrosi.

Nell’Ultima Sera l’Ultima Cena

Nella grande madre nera

Attingevo lo sguardo

Vischioso,

umile,

sterile.

Il ramo lassù

Genera sonnolenza.

Rumori tenebrosi,

il cielo oscilla,

la pianta carnivora s’accosta.

Mi giro:

di frasca in frasca

il cuore freme come di spada.

Ed ecco che nella verde verdura

La frattura

Balzò inaridita.[1]

Esposizione fino al 1 dicembre

Galleria Moitre, Via Santa Giulia 37 bis, 10121, Torino

Courtesy Galleria Moitre (Torino)

[1] Andrea Famà, Di seta, di fango, pubblicazione a cura dell’autore, Associazione Quasi Quadro, Galleria Moitre (Torino)

Testo: Giulia De Val.